Ricordo ancora la prima volta, primavera 1984, e la prima via nelle Gorges, l'Eperon sublime. Affacciarsi alla balaustra, vedere lisci e strapiombanti pilastri panciuti, assolutamente repulsivi, che salivano anche oltre il punto in cui eravamo.
Un groppo alla gola ed un pugno nello stomaco; l'inconfessabile paura al pensiero di doverli scalare.
Ma eravamo li per quello; il Verdon era, a quell'epoca, un passaggio obbligato.Un'arrampicata nuova, più obbligatoria, un test al quale ti dovevi sottoporre.
Non era mica un obbligo, qualcuno era rimasto a casa; ma se volevi far parte del ristretto manipolo dei cavalieri selvaggi dovevi mettere da parte le tue paure. E gettarti nella mischia.
Allora, quell'arrampicata che prima divenne libera e poi sportiva, contemplava ancora il masochistico piacere di mettersi alla prova anche oltre i propri limiti, l'incertezza della riuscita ed una certa velleità nelle ambizioni, in rapporto alle proprie capacità.
Non eravamo avventati, era quello il sale del nostro alpinismo. Anche se ci chiamavano arrampicatori, noi ci sentivamo ancora fieramente alpinisti.
Scendemmo in otto, quella volta, dalle doppie di Luna Bong, pure quelle angoscianti. E mentre tutti gli altri si diressero verso Caca Boudin, io e Roberto rimanemmo soli per l'Eperon. Era la via più facile che potevamo scalare ma la trovammo avara di chiodi rispetto alle classiche scalate dolomitiche. Rimettere piede sul bordo dell'altopiano, nel tardo pomeriggio, fu come un ritorno alla vita ed al sorriso.
E tutto questo per tre, quattro giorni, in un continuo alternarsi di stati di esaltazione e di depressione.
Fino al ritorno a casa.
E ti sentivi migliore, più coraggioso, come se avessi una medaglia da eroe appuntata sul petto.
E nella mente il ricordo del paesaggio, i profumi, la roccia, il fiume, le cannonate dei militari sparate sull'altra sponda, il campeggio più minimalista al mondo, gli amici compagni d'avventura ed il futuro ritorno alla mecca degli scalatori.
l'Eperon Sublime 1984 |
Non era mica un obbligo, qualcuno era rimasto a casa; ma se volevi far parte del ristretto manipolo dei cavalieri selvaggi dovevi mettere da parte le tue paure. E gettarti nella mischia.
l'Eperon Sublime |
Non eravamo avventati, era quello il sale del nostro alpinismo. Anche se ci chiamavano arrampicatori, noi ci sentivamo ancora fieramente alpinisti.
Scendemmo in otto, quella volta, dalle doppie di Luna Bong, pure quelle angoscianti. E mentre tutti gli altri si diressero verso Caca Boudin, io e Roberto rimanemmo soli per l'Eperon. Era la via più facile che potevamo scalare ma la trovammo avara di chiodi rispetto alle classiche scalate dolomitiche. Rimettere piede sul bordo dell'altopiano, nel tardo pomeriggio, fu come un ritorno alla vita ed al sorriso.
Davanti all'immancabile birra serale ci si dimenticava tutto, la fatica, le paure, le dita scorticate e ci si permetteva persino di alzare il tiro riguardo alle vie del giorno successivo; salvo poi il mattino dopo ritrovarsi nella medesima condizione di sudditanza psicofisica rispetto alla esigente scalata del canyon.
Frimes et chatiments |
E tutto questo per tre, quattro giorni, in un continuo alternarsi di stati di esaltazione e di depressione.
Fino al ritorno a casa.
E ti sentivi migliore, più coraggioso, come se avessi una medaglia da eroe appuntata sul petto.
E nella mente il ricordo del paesaggio, i profumi, la roccia, il fiume, le cannonate dei militari sparate sull'altra sponda, il campeggio più minimalista al mondo, gli amici compagni d'avventura ed il futuro ritorno alla mecca degli scalatori.
Mangoustine scatophage |
Vorrei sapere chi erano i "Cavalieri selvaggi" che compaiono sulla foto in quelle pose scherzose eppure romantiche.Che invidia...
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